
Indice rapido
Introduzione
Nell’articolo precedente abbiamo visto il primo principio di advertising più sottovalutato, “il vuoto”. Il secondo principio che andremo a approfondire in questo articolo è il marchio. Proveremo a capire cosa rappresenta un marchio nel contesto dell’advertising e come esso dovrebbe essere utilizzato per avere una comunicazione efficace.
Cosa non è un marchio
Per capire cosa rappresenta un marchio nel contesto della comunicazione visiva dobbiamo prima capire cosa non è. Il marchio, infatti viene spesso utilizzato o addirittura progettato per scopi sbagliati.
Non giudicare un pesce da come si arrampica sugli alberi
Parafrasando Albert Einstein
Quindi proviamo a rispondere a questa domanda: “Cosa non è un marchio?”

Il marchio non è una risorsa grafica:
Spesso si tende ad utilizzare il marchio come fosse una risorsa grafica, sostituendolo al visual di un annuncio pubblicitario o peggio di un contenuto social. Questo approccio è spesso deleterio per il brand e praticamente inutili in termini di comunicazione, eccetto rari casi. Tale utilizzo, infatti, è plausibile solo se il marchio stesso è l’obbiettivo della comunicazione, in tutti gli altri casi (ovvero il 90%) è da considerarsi un grosso errore: Il marchio non è una risorsa grafica e non deve predominare rispetto al messaggio che dobbiamo veicolare.

In genere il marchio per raggiungere la sua massima efficacia deve essere discreto, deve chiudere una composizione grafica, con lo scopo di “firmare” o dare la chiosa ad un messaggio, al massimo certificare la veridicità di quanto vogliamo affermare. Più esso è grande, invadente o “grosso” minore sarà la sua efficacia e quella del messaggio pubblicitario che vogliamo trasmettere, trasformandosi in un “rumore”;
Applicandolo al nostro artefatto con una proporzione in armonia con il resto degli elementi e in una posizione coerente con l’architettura dell’informazione riusciamo a sfruttare al meglio il suo potere comunicativo.

Il marchio non è un elemento testuale:

Consuetudine assai più grave è quella di utilizzare il marchio come parte di un testo. Spesso questa malsana operazione viene fatta con i logotipi invece di scrivere il nome del prodotto o del brand.
Nell’esempio sopra vediamo una corretta applicazione del marchio dell’azienda in un annuncio con una struttura tradizionale (Headline – Visual + packshot – Marchio). Il messaggio arriva immediato, si comprende subito il prodotto e l’azienda che lo produce. Il visual ha un impatto emotivo e grazie al principio del vuoto salta subito all’occhio.

In questo secondo esempio, scompare il marchio dell’azienda, il logotipo del prodotto viene utilizzato in sostituzione del testo. Qui il vuoto non è ben utilizzato, non c’è proporzione tra visual è headline. Inoltre c’è una ridondanza dovuta alla presenza del marchio nel packshot e nell’headline.
Il marchio non è uno strumento di comunicazione:
Spesso si pensa che il marchio debba spiegare cos’è o cosa fa l’azienda o la marca o ancora peggio, cos’è o fa un prodotto. Quindi il marchio di un asilo avrà un arcobaleno o la figura dei bambini che si tengono per mano; Il marchio di un gommista avrà un copertone al posto di una “o”; Il marchio di un brand di prodotti informatici avrà il disegno di un computer…

Assolutamente no, il marchio non deve parlare della marca (ne tantomeno dell’azienda), anzi il marchio non deve proprio parlare, quel compito è affidato all’identità visiva. Il marchio deve suscitare delle sensazioni, deve suggerire al consumatore l’attitudine della marca, evocare un immagine (non fisica); perché no, magari incuriosire ma mai spiegare qualcosa.
Il marchio è l’entità visiva con il quale una marca si manifesta.

Quindi cos’è
Come già detto in altri articoli, trovo molto utile la definizione di Michele Spera, per lui il marchio deve:
Con un segno il più possibile breve, esprimere ed identificare contenuti a volte anche molto difficili.
In buona sostanza, se la marca è la sintesi dei valori dell’azienda, che definisce l’atteggiamento, il modo di proporsi e che contiene la “promessa”, il marchio rappresenta “l’incarnazione” visiva della marca.

Conclusioni
La discrezione per un marchio, come detto, è fondamentale ma non solo: esso deve essere riconoscibile, originale, visibile anche in piccole dimensioni, efficace anche in bianco e nero. Il marchio è un lavoro di sintesi e non un virtuosismo grafico. Esso deve firmare un annuncio, certificare il messaggio, essere testimone di un prodotto. Non deve mai sovrastare il messaggio o mettere in secondo piano il prodotto.
Non abbiamo ancora finito, in nostro viaggio all’interno dei principi di advertising non è concluso, nel prossimo articolo parleremo dell’equilibrio. Vi aspetto.
1 commento su “I principi di advertising più sottovalutati: 2. Il marchio”
I principi di advertising più sottovalutati: il marchio – Pierce Brantley
(03/07/2021 - 11:31)[…] Fonte: articolo tratto da http://www.robertomaiolino.it/blografik Advertising […]